Il tema dell’edizione 2017 del World Aids Day è “Diritto alla salute” (Right to health), celebrato globalmente ogni anno il 1 dicembre. Sono 36,7 milioni le persone che nel mondo convivono con una diagnosi di infezione da Hiv e secondo il direttore del dipartimento delle malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità Gianni Rezzac’è una perdita della memoria generazionale rispetto alla gravità della malattia”. È calato il livello di consapevolezza tra i giovani sui fattori di rischio di trasmissione della stessa e dai dati si evince un aumento dell’età media delle persone che contraggono il virus, in particolare fra le persone straniere.

Secondo una ricerca condotta dal Telefono Verde dell’Istituto Superiore di Sanità oggi il rischio è legato anche alla comunicazione in rete ed ai nuovi incontri sessuali promossi dalle chat on line.

Nella nostra città il progetto Effatà, promosso dalla Caritas Diocesana con il supporto del CERESO, ha svolto nell’ultimo anno un servizio di accompagnamento e formazione che ha coinvolto gli operatori caritas e i gruppi giovanili delle parrocchie, offrendo occasioni di riflessione anche estese a classi di studenti di alcune scuole secondarie di II grado e alla cittadinanza tutta, per fornire loro informazioni adeguate e promuovere comportamenti responsabili. L’équipe di progetto ha potuto constatare quanto ancora siano presenti, in un assordante silenzio, resistenze e pregiudizi riferite alle vie di trasmissione del virus HIV e a coloro che vivono la condizione di malattia.

Il direttore della Caritas Don Antonino Pangallo ribadisce che “nell’alzarsi di sempre nuovi muri, la giornata del 1 dicembre è una occasione per gettare un ponte di inclusione nei confronti di chi vive il dramma dell’HIV/AIDS. Oggi certamente il virus può essere più facilmente tenuto a bada, tuttavia, non occorre abbassare la guardia, pena il rischio di far aumentare l’illusione che il problema del contagio non ci sia”. Al centro ancora la sollecitazione rivolta al mondo adulto: “Oggi come ieri è bello riascoltare la parola forte di Gesù: “Effatà”, “Apriti”. È necessario aprirci ancora di più all’ascolto del disagio, all’accompagnamento del mondo giovanile. Vincere la sordità del cuore e aprire la vita delle nostre comunità all’accoglienza e all’accompagnamento di chi si ritrova spesso nella solitudine, rimangono obiettivi ancora da raggiungere”.

Sul territorio reggino è presente la Casa Don Italo Calabrò, gestita dalla Piccola Opera Papa Giovanni, avviata nel 1995 per accogliere persone che, sole, non avevano un luogo dove vivere una volta dimesse dall’ ospedale e che oltre alla loro condizione di salute, si trovavano a fare i conti con lo stigma sociale, perché emarginate per via della malattia. Si rammenta infatti che all’inizio della sua comparsa sullo scenario mondiale, l’AIDS era orientata ad un esito mortale e ad una condizione discriminante per la persona. Oggi i progressi della medicina, con nuove terapie farmacologiche e il supporto dei servizi territoriali , permettono di migliorare la qualità della vita delle persone, per cui chi vive l’ HIV/AIDS, anche se non guarisce, riesce a convivere con la cronicizzazione della malattia, riappropriandosi della possibilità di riprogettare la propria vita.  Per questo motivo, oggi, la casa è un appartamento di prossimità che permette alle persone accolte di poter vivere uno spazio di inclusione e di sostegno nell’ordinario.

Molti passi sono stati fatti ma tanti altri ancora devono essere pensati per intervenire in modo sistematico nei processi di formazione degli adolescenti e giovani. E sembra essere proprio la scuola il luogo più adatto per veicolare le corrette informazioni alle nuove generazioni.

Questa giornata sia un’occasione per rinnovare in modo esplicito l’impegno di Istituzioni e Terzo Settore a favore della corretta informazione sul tema HIV/AIDS e in particolare della lotta contro lo stigma che ancora è molto radicato nei confronti di chi vive questa condizione di malattia.